Intervista a Luca Pirisi
Gaspare Caliri: Cosa significa essere Millennial per te? Quali sono le peculiarità di questa “generazione”?
Luca Pirisi: Io identifico la generazione Millennial – riferendomi in particolare ai giovani europei per vicinanza e maggiore conoscenza – come una generazione tendenzialmente istruita e iperconnessa, la quale si divide in due macro-categorie: quella dei viaggiatori e quella dei naviganti. La prima, composta dai “figli dell’Erasmus”, è quella che più di ogni altra ha avuto la possibilità di vivere attivamente l’apertura delle frontiere, viaggiando, imparando diverse lingue e contaminandosi con il mondo e la sua varietà. La seconda, la più numerosa, include una miriade di giovani che stanno subendo la globalizzazione: sono carichi di ambizioni e di aspettative alte, anche alimentate dalle potenzialità di internet, ma nei fatti incapaci di capire e affrontare la crisi occupazionale, demografica e identitaria della nostra società.
GC: Quali sono le nuove parole chiave del contemporaneo, i temi che bisogna affrontare in maniera più impellente?
LP: Sicuramente ci sono tre temi tra di loro fortemente complementari. Il primo è quello della complessità: ancor di più dopo l’avvento di internet, la nostra società è da considerarsi come un sistema sempre più intrecciato, composto da più parti collegate tra di loro e dipendenti l’una dall’altra, ossia un network articolato su moltissimi livelli interconnessi e sovrapposti. Il secondo tema è quello dell’equità: per il gioco delle dipendenze reciproche, non può reggere un sistema in cui l’1% della popolazione mondiale possiede più del restante 99%. Il terzo tema portante è quello della crisi, la quale però ha un’accezione diversa da quella negativa normalmente associatagli: la parola crisi infatti in greco significa “scelta/decisione”, mentre in cinese è composta da due caratteri indicanti “pericolo” e “opportunità”. In un sistema complesso come quello globale, la crisi rappresenta dunque una condizione sistemica e quasi naturale.Il punto focale è quello di comprendere la complessità per prendere le giuste decisioni che trasformino l’attuale instabilità nell’opportunità di ridisegnare la nostra società. Diversamente le iniquità cresceranno e con esse si fomenteranno i più pericolosi populismi.
GC: Quali parole del passato (recente o lontano che sia) sono superate e perché?
LP: Penso subito alla settorializzazione, perché oggi è impossibile comprendere la complessità continuando a pensare all’interno di camere stagne, nuclei chiusi, blocchi precostituiti. Industria, ambiente, produzione, servizi, pubblico, privato, sono termini che da soli non hanno più significato. Aggiungerei anche il concetto di dipendenza a tempo indeterminato: se da una parte infatti ogni cittadino deve vedere riconosciuti e tutelati i suoi diritti nell’arco di una vita, dall’altra è fondamentale puntare verso una crescita dell’imprenditorialità del singolo, volta ad una maggiore condivisione delle responsabilità e dei risultati tra lavoratori, azionisti e comunità. Evoluzione di paradigma che richiede però di rivedere la centralità del PIL quale riferimento unico della nostra economia. Il valore della nostra società deve essere valutato non in base al solo reddito prodotto ma alla sostenibilità e qualità del benessere sociale, economico e ecologico che insieme siamo riusciti a creare.
GC: Esistono persone della tua generazione che sono fonte di ispirazione quotidiana per te? E invece quali sono, o sono state, le tue guide?
LP: Sono innumerevoli gli amici e i conoscenti che stanno aprendo scenari in più ambiti. Farei riferimento soprattutto alle comunità, più che alle singole persone, con cui ho relazioni più dirette: gli amici “millennial” di ProPositivo e del SIYlab; i pionieri di Pagella Politica (prima realtà in Italia dedicata al fact checking); la comunità di RENA; la rete di Sardex. Pensando invece alle figure che mi hanno fatto, e ancora mi fanno, da guida, penso sicuramente alla mia famiglia (numerosa) e agli insegnamenti dei nonni: aver vissuto sin da bambino un intenso confronto intergenerazionale, mi ha permesso di capire il valore della memoria storica e l’importanza dei valori e del rispetto reciproco. Oggi che come millennial ci consideriamo cittadini del mondo, questa base identitaria è ancora più importante: più giri e sei soggetto a cambiamenti, più senti il bisogno di capire chi sei e da dove vieni. Infine in termini professionali, una figura fondamentale è stata un professore di Milano, Francesco Longo, il docente che mi ha avviato agli studi in management della PA.
GC: Viviamo in un periodo di crisi come vincolo sistematico. Cosa stiamo dando per scontato in questo scenario?
LP: Stiamo sottovalutando l’importanza del livello locale e delle informazioni necessarie a capire la nostra quotidianità. Siamo continuamente esposti a notizie sul mondo, spesso incentrate sulla crisi e su storie negative, mentre scarseggiano dati e dettagli utili a capire il nostro contesto. Sappiamo l’andamento della borsa di Tokyo, siamo sempre aggiornati sulla geopolitica internazionale, ma raramente conosciamo il numero di ettari coltivati dietro casa nostra o quello di studenti nelle nostre scuole. Per tale ragione con ProPositivo stiamo cercando di sviluppare un modello di analisi e animazione delle comunità locali per aiutarle a coltivare nuove relazioni sociali e a raccogliere le informazioni necessarie a prendere decisioni e gestire la complessità. Dobbiamo far capire alle persone che se del mondo siamo un puntino, del livello locale siamo invece diretti protagonisti ed è da qui che dobbiamo partire per fare la differenza e ridurre le disuguaglianze. Dobbiamo attivare processi di problem solving comunitario ma per farlo dobbiamo lavorare bene sul problem setting territoriale.
GC: Da una ricerca condotta da Demos & PI per italiani.coop, emerge che “con la crisi economica non abbiamo perso solo la ricchezza”. Che cosa abbiamo perso? Cosa potremmo guadagnare?
LP: Stiamo perdendo capitale umano, specialmente in Italia. E stiamo perdendo anche connessioni, la capacità di creare processi di intelligenza collettiva. Siamo sempre più connessi, ma c’è una forte crisi di rappresentanza dei problemi e delle istanze comuni.
GC: Qual è la narrazione, l’avventura che più ti appassiona oggi? Qual è invece la narrazione, la retorica che più ti innervosisce?
LP: Ciò che davvero mi appassiona sono tutti i progetti di stampo civico e filantropico, in cui si ricerca il legame tra mondi e linguaggi diversi, quale leva per facilitare la rigenerazione socio-economica dei territori e delle comunità in difficoltà. Mi innervosisce invece l’esasperazione creata nel dibattito sulle startup: ho l’impressione si stia portando avanti un lavoro che non sviluppa cultura aziendale ma che piuttosto fomenta il mito del capitalismo sfrenato. Non si può pensare di rafforzare il nostro tessuto imprenditoriale, alimentando il mito delle micro-imprese che in tre anni fanno una exit miliardaria e diventano unicorni. La mitologia mi è sempre piaciuta ma non se è usata per deformare la realtà.
GC: “Le cose grandi fatte dall’uomo sono fatte grazie alla collaborazione non alla competizione”, afferma il sociologo Domenico De Masi. Cosa significa collaborare? Quali risultati, quali impatti porta la collaborazione? Come si può misurare?
LP: Da un po’ di tempo sposo molto il concetto di coopetizione, termine con cui si indica la messa a sistema di collaborazione e competizione. La collaborazione deve essere sempre portata avanti nell’ottica di produrre un miglioramento. Lo sport di squadra ci offre l’esempio più chiaro, poiché è una realtà in cui i singoli mirano a spiccare, ma per farlo devono collaborare con gli altri. Per misurarla sono molteplici gli indicatori di sintesi, ma sicuramente reputo fondamentale osservare la dinamicità della vita pubblica (es. numero progetti pubblico-privato, cooperative di filiera e reti di impresa, tasso di associazionismo, ecc.).
GC: In che modo la comunità, la collettività, può essere di supporto al singolo nel nuovo panorama di crisi permanente?
LP: Ognuno di noi sviluppa la propria identità nel rapporto con gli altri. Si tratta di un sistema educativo universale, in cui siamo immersi fin da piccoli trovandoci a vivere e “lavorare” o gestire problemi da risolvere in gruppo. Però con lo sviluppo dell’iper-specializzazione abbiamo finito per isolarci. Per riuscire a trasformare la crisi in opportunità dobbiamo attivare processi di intelligenza collettiva, cercando di curare e far crescere il modello del welfare universale in cui abbiamo la fortuna di vivere.
GC: Come si potrebbe promuovere lo scambio di informazioni, di competenze, tra generazioni diverse?
LP: È importante ripartire dal livello locale. L’Italia è un paese dove l’80% dei comuni hanno meno di 10000 abitanti, il che ci mette nelle condizioni di partire da concetti di solidarietà, prossimità e di collaborazione intergenerazionale, applicandoli nelle varie sfacettaturedelle realtà locali.
GC: Che farai tra dieci anni?
LP: Il manager pubblico. Se la pubblica amministrazione non aprirà al contributo dei millennials, allora svilupperò progetti che mi permettano di dare il mio contributo alla società.
GC: Cosa ci consigli di leggere, ascoltare o vedere? (libro, disco, film o altri formati…)
LP: Before the flood, un documentario in cui Leonardo DI Caprio discute il cambiamento climatico con personalità tra le più importanti al mondo. Inoltre consiglio il libro Il banchiere dei poveri, di Muhammad Yunus. Poi ovviamente il nostro blog di ProPositivo, per ispirarsi con storie virtuose e esempi positivi.